Pescina, Fontamara al Teatro San Francesco
Sabato 2 marzo alle 21,00 in scena la compagnia Teatro Lanciavicchio con la Prima Nazionale del loro ultimo spettacolo Fontamara al Teatro San Francesco di Pescina.
Lo spettacolo, tratto dal romanzo di Ignazio Silone, per l’adattamento e la drammaturgia di Francesco Niccolini e la regia di Antonio Silvagni, è una produzione del TSA e del Teatro Lanciavicchio con la collaborazione del Centro Studi Ignazio Silone, del Comune di Pescina e del Comune di Avezzano. La compagnia Teatro Lanciavicchio è stata durante la produzione dello spettacolo in residenza artistica con Zone Libre di ACS al Teatro Comunale di Teramo nel 2018. In scena Angie Cabrera, Stefania Evandro, Alberto Santucci, Rita Scognamiglio, Giacomo Vallozza, musiche originali Giuseppe Morgante.
Cinque attori: danno voce a un mondo, a un paese, ai suoi abitanti e pure ai loro carnefici. Raccontano – quasi fosse un’opera sinfonica a più voci – la storia di Fontamara, dei Fontamaresi, di Berardo Viola e di Elvira. Le voci dei protagonisti si accavallano con quelle dei personaggi minori: ogni attore deve acrobaticamente passare da un’identità all’altra. Giuvà, Matalè, il loro figlio, Marietta, Scarpone, e poi il generale Baldissera, Papasisto, Venerdì Santo, Ponzio Pilato, Betta Limona, l’impresario, il cavalier Pelino, don Baldissera, le mogli, i carabinieri, un prete venduto, un canonico disperato… un mondo si affolla sul palcoscenico attraverso una partitura ferrea, un’alternanza di presenze e testimonianze. Perché di testimoni si sta parlando: quasi fossimo di fronte a un giudice, o forse al Giudizio Universale, sono tutti chiamati a ricostruire quei giorni osceni pieni di vergogna violenza e disumano accanimento sui più indifesi.
Mano a mano che l’intreccio di sviluppa, prendono corpo le storie dei Fontamaresi e degli abusi dei poteri forti ai loro danni. Più l’ombra incombente del fascismo che si sposa con gli interessi dei latifondisti. E insieme, la storia dei due protagonisti assenti, Berardo ed Elvira: in mezzo a questo concertato di voci, solo le loro mancano. Berardo ed Elvira esistono solo nel ricordo degli altri. Eppure, qui, sono tutti fantasmi. A parte un unico sopravvissuto: il figlio di Giuvà e Matalè. Solo lui si è salvato. Da lui parte il racconto: se fossimo davvero di fronte a un tribunale, lui sarebbe il supertestimone, quello da proteggere, quello da cui dipende la riuscita o meno del processo. Lui evoca tutti i fantasmi, e i fantasmi si presentano e – a loro volta – i fantasmi ne generano altri e altri e altri ancora. Fino alla fine. Fino alla strage. Fino al genocidio. Perché di genocidio si tratta.