Roseto, Cefalonia perde Massimo Filippini, un pezzo importante della sua verità e della storia raccontata
“Per non dimenticare” il gruppo di lavoro delle vicende della guerra mondiale, in particolare del periodo 1943 riguardo le vicende di Cefalonia, comunica la morte dell’avvocato e storico Massimo Filippini.
Lo scrittore, classe 1936, avvocato di professione, storico per passione, anzi, per “interesse personale”. già tenente colonnello dell’Aeronautica Militare, figlio del Maggiore del Genio, Federico Filippini, fucilato a Cefalonia il 25 settembre 1943, da sempre acuto studioso delle vicende sulla strage e delle vicende sull’eccidio di Cefalonia è stato il primo a smentire le “famose 10mila vittime” illustrando con ampi studi il ridimensionamento di alcune cifre.
Scrittore puntuale e preciso benchè invitato dal comitato “Per non dimenticare 1943” non ha avuto purtroppo l’onore di venire a Giulianova, Mosciano Sant’Angelo e Roseto degli Abruzzi, per per impegni già presi in precedenza e date non compatibili con il suo diario e con la manifestazione nazionale Abruzzese.
Aveva promesso però al collezionista Giuseppe Pollice, componente del gruppo di ricerca “Per non dimenticare” che sarebbe intervenuto, ad una prossima edizione della manifestazione, partecipando al convegno sulla seconda guerra mondiale, a Roseto degli Abruzzi.
Ricordiamo che Massimo Filippini “mise in piazza” il verbale della riunione di vertice svoltasi a Malta il 29 settembre 1943 tra il maresciallo Badoglio, capo del governo italiano, e il generale Eisenhower, capo supremo delle Forze armate alleate, con cui l’Italia aveva, da pochi giorni, firmato l’armistizio.
Eisenhower aveva previsto ciò che sarebbe potuto accadere a Cefalonia se l’Italia non avesse dichiarato guerra alla Germania.
I soldati italiani che avessero resistito alle intimazioni di resa tedesche sarebbero stati poi fatti prigionieri, e di seguito fucilati perché traditori.
Badoglio si limitò a rispondere che ne avrebbe parlato con il Re Vittorio Emanuele III.
Il documento storico scoperto e reso noto da Filippini dimostrava che l’ordine di resistere ad ogni intimazione di resa, inviato per telegramma da Brindisi alla Divisione Acqui a Cefalonia obbligò il generale abruzzese (ndr di Avezzano) Antonio Gandin a rispondere di no alla richiesta giunta dai tedeschi.
Con la consapevolezza, da parte dei vertici delle Forze armate e del governo del re, che la Convenzione di Ginevra non sarebbe, di fatto, stata applicata.
All’avvocato Massimo Filippini, va riconosciuto il merito di avere fatto chiarezza su una delle tragedie più sanguinose della seconda guerra mondiale.
Filippini ha da sempre denunciato le ambiguità del governo Badoglio, le ingiuste critiche al generale Gandin, comandante della Divisione Acqui, e le immeritate lodi e onorificenze assegnate ad un ufficiale che si spacciò per eroe e che invece, sempre secondo Filippini, aveva tramato con i nemici tedeschi.
Filippini ha dedicato la sua esistenza alla ricerca della verità e ha scoperto documenti inoppugnabili che gli hanno consentito di scrivere ben tre libri, che puntualmente sono stati, dal comitato “Per non dimenticare”, esposti e commentati nelle edizioni della manifestazione dedicata all’eccidio di Cefalonia che in questi anni è stata organizzata con la presenza di illustri ospiti del mondo letterario, militare, artistico, culturale, storico e collezionistico italiano.
I libri scritti da Massimo Filippini sono:
“La vera storia dell’eccidio di Cefalonia“, pubblicato nel 1998 dalla Cdl a Pavia;
“La tragedia di Cefalonia. Una verità scomoda” edito a Roma nel 2004 dalla Ibn;
“I caduti di Cefalonia: fine di un mito”, Ibn, Roma, 2006.
Una vita, quella di Filippini, che gli è costata grandissimi sacrifici, (ndr, in questi anni unita a tante segnalazioni e denunce), perché l’ha portata avanti nel nome di suo padre Federico, anche perché spesso è stato osteggiato e contrastato dai tanti scrittori della “versione” ufficiale, specializzata a volte nel capovolgere la verità e nell’esaltare le gesta di chi forse non è degno di note.
Oggi che Filippini non è più con noi bisogna riconoscergli il merito di avere riportato alla luce una diversa verità sulla vicenda Cefalonia.
La sua verità che venne subito insabbiata perché come venne scritto “avrebbe indicato al disprezzo e al disonore coloro i quali, disubbidendo al loro comandante, avevano infranto le leggi di guerra scatenando la rabbia e la voglia di vendetta di un esercito di cui era ben nota la durezza”.
Secondo Massimo Filippini la tragedia di Cefalonia ha dei colpevoli non soltanto con nomi e cognomi tedeschi, ben noti e conosciuti, ma anche nomi e cognomi italiani, che secondo lo studioso non meritano il posto che hanno occupato nella storia.
Oggi con la sua morte e dopo oltre 70 anni, dovrebbe essere giusto riconoscere a Massimo Filippini di avere scoperto alcune delle menzogne sulla vicenda e di aver scoperto atti e documenti e principalmente di aver avuto la forza di rivelare la verità su Cefalonia e quello che accadde in quel tragico settembre del 1943.
Queste le sue parole in una sua intervista, che dimostrano in poche righe chi è stato Massimo Filippini: “la ricerca storica su Cefalonia e le conseguenti polemiche di cui parlerò, assorbono gran parte del mio tempo, ma va bene così: i miei contestatori devono sapere che non mi fermerò fino a quando non sarà fatta piena luce sulle mistificazioni dette e scritte sulla strage di Cefalonia.
E’ un impegno morale che ho con mio Padre e con quanti vennero fatti inutilmente morire.
Oggi però il bel gioco (per loro) è finito e ai ‘gendarmi’ di Cefalonia non resta che fare marcia indietro pena il sentirsi appioppare, in caso contrario, la taccia di mentitori in campo storico e di somari in quello giuridico”.