L’Aquila, la festa del perdono. Quando i Santi portavano il saio
Quello che vi proponiamo oggi è un articolo a firma del collega e direttore del periodico Abruzzo Az, e nostro fidato collaboratore, ormai da 3 lustri, Emidio Di Carlo.
Il pezzo vuole essere, almeno nelle intensioni, una sorta di anticipo sul “Perdono” di fine agosto che si svolgerà nella città abruzzese di L’Aquila dove la ultracentenaria manifestazione viene chiamata “Perdonanza”.
Quando i Santi portavano il saio.
“La memoria è l’unico vaccino contro l’indifferenza”.
(Liliana Segre – Senatrice)
Mi sovvien…
…. Ma è certo che fantasmi di guerra e di poesia hanno sempre aleggiato sulle mura della “città che ha un nome imperiale”, come la chiamò un poeta purtroppo crepuscolare.
Lo splendore medioevale e rinascimentale dell’Aquila, nell’arte, nella poesia e nella religione, è attestato dalle sue chiese, e non solo dalla meraviglia romanica di Santa Maria di Collemaggio.
Nella festa agostana del “perdono”, quando si apre la “Porta sancta”, della chiesa, dalla torre attigua l’arcivescovo della città mostra alla folla la casa di San Pietro Celestino.
Mi ricordo fin da ragazzo la religiosa cerimonia, la voce alta e tremante dell’officiante che, alzando la minuscola urna, davanti al popolo, diceva: “ecce ossa Sancti Petri Celestini”;
e la piazza mareggiava di folla.
È il santo romito del Morrone, a cui tenne la staffa un re d’Angiò, quando fu chiamato dal suo rifugio alla Maiella al soglio di San Pietro: Celestino V, al quale l’Alighieri diede colpa di viltà: “… che fece per viltade il gran rifiuto”.
Anche se Dante lo disprezzò, l’umiltà assoluta di quel fraticello mi è sempre piaciuta, né la chiamerei viltà, e alla Chiesa poi giovò di più che non la dabbenaggine di Papa Martino, il papa che cercò di accordarsi con Braccio, al risultato di meritarsi uno dei più antichi pasquineschi proverbi: “Papa Martino non vale un quattrino”.
Come m’è sempre piaciuta l’indole di quell’altro frate senese, San Bernardino… (G. Titta Rosa. ”Le vie d’Italia”. Ottobre 1941)
“… annualmente assolviamo dalla pena e dalla colpa, che meritano per tutti i loro peccati, commessi fin dal battesimo, tutti coloro che verranno pentiti e confessati saranno entrati nella predetta Chiesa dai Vespri della vigilia della festività di S. Giovanni fino ai vespri immediatamente seguenti la festività”.
(”Bolla della Perdonanza”. 29 settembre 1294. Versione in Italia della prof.ssa Stefania Di Carlo)
La storia infinita “in” e “oltre” la Basilica di Collemaggio.
Sull’altare di sinistra della Chiesa vi sono le spoglie di Jean Bassand (Giovanni Bassand) il celestino che da Priore ad Amiens, venne mandato in Inghilterra e in Spagna; quindi: dal 6 marzo 1443 inviato da Papa Eugenio IV all’Aquila, alla basilica di Santa Maria di Collemaggio.
Qui morì il 26 agosto 1445.
Divenne “beato” per acclamazione.
Le spoglie del monaco celestino sono rimaste nel tempo pressoché oscurate (e non solo per la fama di Celestino V) a quanti, sempre, sono entrati nella Basilica.
Del resto, nella cappella sulla destra, si offre dell’altro: il Mausoleo di Girolamo da Vicenza (1517). Solo sul finire degli anni novanta, studi e ricerche avviate anche in Francia, dell’allora borsista Erasmus, Stefania Di Carlo dell’Università dell’Aquila, venne messa in luce l’importanza del monaco francese nella vicenda aquilana dei celestini.
Due secoli dopo, nel convento di Collemaggio, giungeva un pittore e religioso tedesco: Carl Borromäus Andreas Ruthart (Danzica 1639-L’Aquila 1703).
Era stato ad Anversa, Vienna e Baviera (Ratisbona).
Era considerato un seguace di Pieter Paul Rubens.
Tanto che le “Via Crucis” esposte nella Chiesa di Monticchio (frazione di L’Aquila), che secondo alcuni sarebbero state del fiammingo, si dovevano o potere considerare del Ruthart.
Quest’ultimo, infatti, ha prodotto una grandissima quantità di opere sulla vita e sui miracoli di Celestino V.
Il monaco-artista era un pittore animalista.
Nelle sue tele raffigurava Celestino V con leoni, pesci, asini, cinghiali, cervi, buoi, ecc. e tutto quanto la storia religiosa e le credenze popolari gli offrivano.
Non solo la Basilica di Collemaggio o il Museo Nazionale d’Abruzzo, anche nel Comune di Chieti si contano opere del Ruthart.
In Chieti, in particolare, ve ne sono importanti su Celestino V e sull’assedio ai castelli aquilani di Braccio da Montone.
Cosa premeva dipingere sulla vita di Celestino V?
C’era qualche relazione con la società del tempo?
In verità, il monaco-artista tedesco dipingeva per comunicare, attraverso i miracoli compiuti, la Santità nel vissuto del fondatore dell’Ordine.
Ne derivava una lettura per la “conoscenza”, come per le ‘storie’ del Vecchio e Nuovo Testamento effigiate in Santa Maria ad Cyrptas, nel Comune di Fossa.
Il monaco celestino racconta del Santo che ammannisce l’Orso, che salva una donna, che ammansisce i buoi;
oppure: in San Pietro Celestino che bastona Fortebraccio, mentre offre pane alle belve, quando salva un cinghiale dai cacciatori, quando impone al lupo di non arrecare danni alle pecore, quando caccia il diavolo; quando viene salvato da un leone”.
Nella successiva vita aquilana, molti cappuccini, apparsi nella vita della città, avrebbero meritato di essere proclamati “Santi”; sono, tuttavia, ugualmente passati alla storia nell’indossare il “saio”.
Mi sovvien…
Siamo nella metà degli anni Cinquanta.
L’incontro con Padre Eusebio.
Era stato il massimo rappresentante dell’Ordine.
Al termine del mandato, pensò di trovare la pace e la serenità nel Convento in Santa Maria del Soccorso.
Ciò gli fu possibile solo per un breve periodo.
Poi volle essere inviato missionario nell’America Latina.
Allorché si diffuse la notizia, i fattorini del telegrafo aquilano, dovettero fare un’infinità di viaggi per recapitare i tanti messaggi che giungevano da ogni angolo della terra;
portavano la firma di capi di stato, politici di ogni tendenza (cristiani o d’altre religioni), artisti, ecc..
Mi sovvien.
(N.d.R.)
Un incontro in occasione della visita da Rubinstein.
Avvenne nella sua ‘cella’, nel convento dei cappuccini nella Chiesa del Soccorso.
Per quanto piccola, consentiva al monaco-fotoamatore di avere un minimo indispensabile di attrezzatura.
Poi, l’addio e il viaggio verso la Missione, indossando il suo fedele “saio”.
Quando giungevano i messaggi al ‘frate missionario’, il ‘Superiore’ della comunità presente nel convento, non tratteneva qualche smorfia di troppo.
Mi sovvien…
Quanti altri ‘Santi’ hanno indossato il ‘saio’ nella storia aquilana?
Si possono contare nel secolo scorso:
Padre Osvaldo Lemme, Padre Graziano, Padre Giovanni Mastroddi, Padre Casimiro Centi, ecc..
Nella comunità dei frati, nel Convento di San Berardino, si ricorda Padre Osvaldo Lemme.
Per molti anni è stato direttore del Collegio.
La sua ‘Scuola’ è ricordato dagli allievi, alcuni hanno importanti nella città, soprattutto, nella provincia reatino, al tempo parte dell’antica provincia aquilana.
Negli ultimi anni, Padre Lemme andò in Celano.
Qui detto vita ad un’importante biblioteca, con documenti di rilevante importanza storica.
Non a caso i fratelli Ciarletta (Nicola e Francescangelo) vollero che la propria biblioteca dell’Aquila venisse spostata a Celano.
Al momento del disastroso sisma del 2099, Padre Osvaldo tornò a L’Aquila e corse tra le macerie, dandosi da fare e sollecitate l’intervento di quanti (provati dalla stanchezza) stavano a guardare.
“Se ancora oggi scopro la bellezza abbagliante della vita e della musica, lo devo certamente pure a lui”;
con queste parole, Padre Osvaldo Lemma è stato ricordato dal pianista Nazzareno Carusi, nell’apprendere la notizia della sua morte.
Aveva 97 anni, nel 2018.
Altro importante apporto nel mondo culturale della città, è stato quello di Padre Graziano Basciano (1913-2005).
La biblioteca nel Convento di San Giuliano ne è la dimostrazione lampante.
Qui, per oltre quarant’anni è stato bibliotecario e, contemporaneamente, coordinatore delle Biblioteche Provinciali Francescane degli Abruzzi.
È stato anche rettore generale, quindi insegnante di Lettere Moderne e di Religione nell’Istituto d’Arte dell’Aquila.
Quando il sisma del 4 aprile 2009 interessò la città, la Chiesa di San Francesco d’Assisi, in Pettino /L’Aquila fu una delle poche a non subire danni;
tanto che venne scelto dalla Caritas Italiana come centro di coordinamento per gli aiuti alla popolazione.
Era stata ultimata nel 2000, su progetto dell’architetto Nino Vespa e fortemente voluta da Padre Giovanni Mastroddi (1923-2018).
La realizzazione della Chiesa fu davvero un’impresa titanica.
Padre Giovanni, per anni, si era messo spontaneamente al servizio delle famiglie dei parrocchiani, soprattutto dei bambini che con la sua ‘Fiat’ portava ogni giorno a scuola. Passava ad impartire la ‘benedizione’ nelle singole case, una volta all’anno.
Poi, nel 2007, dopo 52 anni trascorsi nel quartiere ricongiunto alla grande città, lasciò L’Aquila per Lanciano dove il coronavirus non gli ha dato scampo.
La straordinaria vitalità di Padre Giovanni aveva un precedente non meno significativo: Padre Casimiro Centi.
Lui portava, per davvero, il “saio”.
Nel Convento di San Bernardino era un semplice frate, ma con un grande progetto: raccogliere e inviare materiali alle popolazioni povere.
Raccoglieva vestiario d’ogni tipo, anche usato, purché in buono stato.
Poi impacchettava e spediva ai ‘fratelli’ impegnati nelle missioni.
Poi giunse un giorno importante.
Ebbe a raccontarlo su “La Vetta” (Gennaio-febbraio 1986).
Stampava il periodico trimestrale di cui non assunse la direzione.
Scrisse sul suo viaggio da Roma alla Guinea-Bissau.
“1986. Ore 15,55.
A quelle altezze (è sull’aereo), ormai solitario, lontano dalle brighe troppo umane, dalle preoccupazioni assai opposte, odo un rumore; solo e monotono, che, non sgradevole, fende l’aria; rompe, non importuno, il silenzio del regno delle stelle.
(Magnus Deus! Magnus quia fecisti hominem præditum magna sapienta)”
“1986. Ora 17,25.
Siamo sulla Spagna di Franco, no… di Juan Carlos I;
terra feconda, un tempo, di Santi, di Missionari, di Apostoli.
E oggi?… Forse soffre degli abbaglianti miraggi della civiltà occidentale!…
forse il vento del laicismo, soffia anche su questo stato della Comunità Europea!… M… Pietro D’Alcantara, Teresa d’Avila, Ignazio da Lojola, Francesco Saverio, Francesco Solano, Salvatore da Horta erano spagnoli!”.
“1986. 9 gennaio.
Nelle more dell’attesa, penso a L’Aquila, città della cultura, della storia illustre, a Via Veneto, strada nota dal nome vittorioso, a ‘La Vetta’, rivista che pur di salire non mi da mai riposo, penso al ceto sornione, critico, al ceto sfaccendato e annoiato, alle Università pensanti e cariche di promesse.”
“1986. 13 gennaio.
Ore 1,56. L’Apparecchio decolla: Deo gratias…
Si lascia il Portogallo, l’Europa, ci si lancia sull’Africa, sorvolando l’Oceano Atlantico.
A 75 anni, il mio salto nel continente nero è audacia, è sogno, è amore, è imprudenza? Gesù guidami… Quale gioia mi doni nella dolce visione di poter aiutare Te nell’opera di redenzione di giovani, di bambini, di adulti….
Ore 3. Fu un gruppo di effervescente partito da Verona e da Vicenza, è diretto precisamente alla Guinea-Bissau: sono circa 20 volontari, ciascuno di essi aiuterà i missionari, secondo le proprie specializzazioni.
Ore 6,10. L’aereo si posa dolcemente sull’aeroporto di Bissau”.
Mi sovvien…
Si potrebbero ricordare molti altri “Santi”, anche meno noti o sconosciuti. Nell’albo d’oro della Chiesa non appaiono ‘riconosciuti’;
diversamente nella società civile.
Nel nostro excursus, restano, comunque, dei ‘Santi’ per aver indossato, tangibilmente, il “saio”.