L’Aquila, prima e dopo il 6 aprile 2009
Un ricordo, una realtà, una verità raccontata dall’amico Emidio Di Carlo, con dovizia di particolari e di … Mi sovvien…, quello quello che proponiamo oggi a ricordo di una triste pagina abruzzese che riguarda la città di L’Aquila.
Mi sovvien…
C’ero anch’io!
6 aprile 2022.
Dormivo.
Una luce accecante mi ha svegliato.
Oddio, è scoppiato il terremoto?
No! È scoppiata la pandemia.
Sono sceso dal letto.
Ho infilato alla meglio i pantaloni.
Ho messo le scarpe.
Per i calzini non c’era tempo.
Sono sceso in strada.
La pandemia! La pandemia!
Altri gridavano: la guerra! la guerra!
Si distribuiscono elmetti con rincari contenuti al 2%..
“Arrivano le… mascherine!”
Gridava l’addetto al recapito di Poste Italiane.
Ben impaurito.
Mi ritrovo a L’Aquila.
Anzi no!
Sono ancora relegato a Pettino, in Via Svizzera, 11, nella succursale del Carcere Circondariale.
L’Associazione Antigone di Sassa era al completo e così mi è stato imposto lockdown con l’obbligo della firma ogni giorno.
Ora sto uscendo per un eccezionale permesso premio.
Incontro un messo regionale.
“Mi manda… Picone.
Grida a voce alta.
Porto le tue ‘mascherine’.
Tappati la bocca e il naso se vuoi godere della libera uscita”.
Intanto è arrivato anche l’addetto comunale.
Cribbio, mi sono detto, non era mai accaduto!
Allora è una cosa seria!
“No – mi ha risposto l’addetto delle Poste Italiane addetto al recapito – “ci sono le elezioni dei “Migliori” per accaparrarsi la villa della Margherita d’Austria.
Arriva anche i longobardista!”
Al suo tabaccaio fa consegnare, il panettone pasquale, il fiore dei fiori: lo zafferano.
“Mettilo nel risotto. Sentirai quanto è buono!”
Nel frattempo il postino mette le mani nella borsa e “dal cappello” ha tirato fuori una candelina.
Osserva: “In questa Via Svizzera non si vede un tubo.
Non si trova via d’uscita da oltre quarant’anni.
Per di più, il “faro”, in Via Svizzera, 13, è anche spento da un decennio: manca la corrente.
Ne sanno qualcosa i togati del tribunale ma il “lockdown è uguale per tutti”.
Ho rovistato nelle mie vicine macerie.
Ho acceso la candelina che mi era stata gentilmente offerta.
Con tanto di raccomandazione.
“Grazie Signore!”.
Da buon soldato mi sono messo sull’attenti.
Ho battuto i piedi, ma il botto è mancato.
“Accendi la candelina” – è tornato a gridato l’inviato della margherita.
“Bisogna illuminare l’aria. Avanti marsch!”
Andiamo. È tempo di migrare.
Bisogna lasciare ai posteri lo stazzo.
Non occorre ripulire quello in Via Svizzera.
Vai! Il tratturo chiama.
Accidenti, mi sono detto!
Questi sanno quello che fanno.
Ti danno la mascherina: con tanto di candelina.
Ti danno anche lo zafferano.
Non un crocus satirus acchiappa voti (falso) ma quello “vero”, quello che si mette all’occhiello della giacca, quello che campeggia sulle divise dei fanti al servizio dei Generali che, per troppo tempo sono stati lasciati a pane e acqua senza avere la forza per fare la guerra.
Ora, però, la riscossa è cominciata.
Alle truppe è stato detto chiaramente: Armiamoci e combattete!
Questi non sono mica i generali delle truppe bianche che ti fanno ‘pungere’, ti lasciano dormire intubato e se non suona la sveglia vuol dire che il maligno-covid ti accarezza in Paradiso.
I Generali hanno sfidato i “Migliori”; non sono i “fragili”.
Basta!
Ordine!
Chi sbaglia paga.
Le truppe al servizio dei Migliori – Generali devono sfondare se vogliono marciare sul tratturo verso la meta agognata.
Mi sovvien…
Io do uno zafferano a Te; Tu darai gli stigmi del fiore a mé.
Mi sono messo in marcia sul Tratturo – Via Svizzera.
Ho percorso: il tratturo S.S. 80, il tratturo Via XX settembre; sono arrivato a metà Tratturo – Viale Crispi.
La candelina che avevo acceso, nel frattempo si era consumata.
Prontamente l’ho sostituita e riaccesa.
Nel Parco (annuale) non si doveva restare al buio.
Una sosta e Via!
Giungo al Tratturo – Viale Collemaggio.
Allo stazzo davanti alla Basilica che all’interno è illuminata dal vecchio monaco del Morrone; ancora non arriva la nuova fiaccolata.
Del resto siamo in aprile, mica a fine agosto!
Mi sovvien…
“Vogliamo diventare il punto di riferimento per professionisti, imprenditori e imprese per supportare i progetti di sviluppo ed essere, insieme a loro, protagonisti del cambiamento per portare il Paese verso un nuovo futuro”.
Anche senza “raccomandata” rileviamo il mittente: “BPER Banca per il futuro dell’Italia”.
Perbacco, ho letto bene: “per il futuro dell’Italia?”
E per il futuro dell’Aquila?
Forse si è difronte al lapsus di giornata?
Perché lo sanno tutti: L’Aquila è in Italia.
Come il quartiere di Pettino è a L’Aquila, L’Aquila è in Italia, l’Italia è in Europa, l’Europa è un altro Mondo….
Ma c’è un altro Cesare che incalza.
Il giovanotto compie “Trent’anni; in numeri arabi, s’intende: 30”!
“Ora – incalza: Fondazione Carispaq. Dal 1992 motore di innovazione e crescita partecipata della Comunità.
Visione, idee e Progetti per lo sviluppo socio economico della Provincia dell’Aquila”.
L’annuncio è nel bel mezzo della facciata quotidiana della carta stampata, che propone, al Centro, la foto dell’attuale indiscusso protagonista.
Tutto giusto ma, per il ‘critico d’arte’, in conti non tornano.
C’è qualche svista nella riqualificazione urbana del Parco nel Castello di Pirro Luigi Scrivà e del suo maestro Joan-loy si ferraro ingnigner.
La Fondazione, giustamente, ‘rivendica’ ma, nello stesso Parco, ha da qualche anno edificato un Auditorium, l’architetto Renzo Piano.
O no?
Per di più non ha fatto pagare agli aquilani come invece accadde nella rivolta antispagnola nel 1528: “AD REPRIMENDAM AUDACIAM AQUILANORUM”.
“Io do una cosa a Te, Tu devi dare una cosa a me”.
Mi sovvien…
6 aprile 2010.
Un anno dopo.
Nell’ex stazzo di Collemaggio, si faceva l’appello.
Tutti i 309 nomi.
Nessuno rispondeva.
Nell’anno prima erano tutti scomparsi.
Antonietta lo sapeva bene perché qualcuno le era particolarmente caro.
Io ero arrivato nella notte, ma senza candelina.
Me ne stavo in disparte.
Ero solo, all’ingresso del Parco del Sole.
Riflettevo.
Il grande giardino era stato occupato, il 23 settembre del 2018, da un’artista americana, Beverly Pepper, aveva donato alla Città l’“Amphisculpture”.
Il mio vecchio Maestro, Gillo Dorfles, l’avrebbe classificata, opera della “Land Art”.
Per realizzare il progetto si dovettero spostare delle pietre dalla Cava da Barisciano.
Il teatro ora c’è.
Ora si potrà rinunciare a scavare e ricostruire il teatro dell’antica Amiternum, patria del senatore romano nel periodo repubblicano.
Gaio Sallustio Crispo, politico, storico e famoso latinista – ha lasciato agli eredi (nel tempo divenuti “aquilani”) anche il suo nome scalpito sulla ‘lapide’ che, pazientemente il Vice Sindaco avv. Ubaldo Lopardi, fece riportare alla luce, il 19 aprile 1966, presenti il Soprintendenze prof. Cianfarani, la firma “Bruves” (per le ‘pagine’del Senatore Angiolillo) e il critico d’arte “dic” che il Comune aveva chiamato per fare l’inventario dei beni immobiliari ed artistici.
Tra uno scavo e l’altro del passato anteriore si rinvenne anche il prezioso “Calendario Amiternino”.
Purtroppo documentabile solo in due lastre: da maggio a giugno e da luglio a dicembre.
Gennaio e aprile sono rimasti non si sono fatti scavare poiché felicemente al calduccio nei mesi invernali.
Divagazione a parte, ritorno nello stazzo di Collemaggio.
Sono a due passi dalla Chiesa in cui volle essere incoronato Papa Celestino V.
Riaffiora una vecchia questione che aveva interessato anche Ettore Moschino, al tempo in cui nello stazzo si benedicevano gli armenti avviati alla transumanza.
Scriveva sulla “Gazzetta d’Abruzzo”, nel marzo 1932: “Dante non conobbe mai Pietro Angeleri. Amico, sì, del giovane Carlo Martello figlio di Carlo II d’Angiò, il gran poeta non incontrò mai l’umile veglio, né sul Morrone, né in Aquila, né a Napoli e, tanto meno, nella rocca di Fumone dove quegli si spense.”
Anni dopo, la questione venne affrontata anche da un giovane storico aquilano, Antonio Angelini che documentò la presenza del poeta tra la folla degli applaudenti all’inaugurazione che l’eremita volle nello stazzo della sua amata Basilica“.
Ma questa è un’altra storia.
Per non dimenticare era giusto farne cenno.
Ora i miei pastori lasciano gli stazzi e vanno verso il mare” ebbe a scrivere il poeta.
Anche da L’Aquila, dopo il 6 aprile 2009, un gran numero di “Pastori”, con le loro greggi, sono andati verso il mare facendo tappa, per sempre, negli ‘stazzi’ dell’Adriatico.