Campli, Domenico Agostinelli e il suo Museo della cultura popolare e dell’artigianato scomparso
Esiste un posto che conserva i capelli di Garibaldi, il libro più piccolo del mondo e un’automobile di Al Capone.
Un posto che ha appesi al soffitto più di 3000 ombrelli, che sui suoi scaffali raccoglie reperti della tomba di Tutankamon, lettere scritte da Mazzini e un elenco settecentesco di libri messi all’indice;
ma anche collezioni di denti umani, di occhiali, carta igienica e filo spinato, e tonnellate di bottoni.
Non si tratta di un esperimento surrealista, anche se è innegabile che questo posto abbia un fascino tutto metafisico, ma del Museo Agostinelli, fondato da Domenico Agostinelli (1940) negli anni Sessanta nella sua casa sulla strada per Ostia, a Dragona di Acilia (Roma).
Domenico faceva il santaro, uno dei tanti mestieri che non esistono più, ossia il venditore di santini, di immagini sacre, e a diciannove anni si trasferisce a Roma da Campli, piccolo paese in provincia di Teramo in Abruzzo.
Spinto da quello che sua nipote definisce un approccio “affettivo compulsivo”, comincia nel 1954 a raccogliere oggetti legati alla cultura popolare, una raccolta eterogenea che oggi conta più di 60.000 oggetti, senza distinzione tra uova di dinosauro, frammenti di meteorite o calzascarpe, il cui unico obiettivo è quello di preservare la memoria.
Già denominato Museo della cultura popolare e dell’artigianato scomparso, questo luogo unico è stato ufficialmente riconosciuto nel 1992 dalla Soprintendenza alle Belle Arti e oggi mantiene i 4000 metri quadri che lo ospitano noleggiando oggetti per produzioni televisive, cinematografiche e teatrali.
Se già così è un posto “ai confini della realtà”, chissà cosa penserà chi, nel 2050 (e solo allora) potrà entrare in quella che Agostinelli chiama la Scatola del tempo: un’unica stanza in cui sta raccogliendo oggetti appartenenti alla nostra contemporaneità – televisori a colori, lettori cd (già vintage), computer, cellulari – che verrà riaperta solo tra venticinque anni, quando quella collezione sarà diventata argomento di studio antiquario.
da un editoriale di Lara Facco P&C