24 Novembre 2024
Cronaca Abruzzo

Teramo, discorso del Sindaco Festa della Repubblica

Buongiorno a tutti;
il mio saluto e quello della città di cui mi onoro essere Sindaco, sono rivolti alle autorità civili, militari e religiose qui intervenute ad onorare la bellissima Festa della Repubblica.
Saluto i cittadini, ed in particolare i giovani e i giovanissimi, verso i quali vanno i nostri più autentici e accorati sentimenti.
Colgo l’occasione per porgere il benvenuto a tutte le nuove guide di Corpi militari e di Polizia e degli enti istituzionali del territorio. A ciascuno, formulo gli auguri più fervidi per il prezioso lavoro cui è chiamato.
Sono trascorsi 73 anni dalla proclamazione della Repubblica: 73 anni fa il popolo italiano – in tutte le sue componenti, uomini e donne, giovani e anziani, benestanti e nullatenenti – per la prima volta fu chiamato ad esprimere la propria scelta, quale segnale di partecipazione civile, di responsabilizzazione, di coinvolgimento concreto per determinare il destino del Paese. E fu, quella, una scelta di campo radicale non solo e non tanto fra due sistemi istituzionali opposti, fra due diverse forme di legittimazione del potere sovrano: la Monarchia o la Repubblica, ma soprattutto fra due modi di concepire il rapporto fra la persona e il potere e il popolo decise di scegliere per una visione della società che si regge sulla centralità della persona e dei suoi diritti rispetto allo Stato.
Quel giorno per la prima volta i cittadini diventarono protagonisti del loro futuro.
Con quel voto, le donne e gli uomini del 2 giugno 1946 consegnarono alle generazioni successive di italiani una speranza, la speranza di restituire ed esaltare la dignità individuale, sociale e collettiva di un popolo, una speranza che un anno e mezzo dopo ha preso forma nei principi e nei diritti fondamentali della nostra Costituzione. Una speranza troppo spesso disattesa e che anche oggi siamo chiamati a difendere ed alimentare.
C’è un articolo della nostra Costituzione, che sintetizza in modo formidabile questa speranza. È l’art. 3:
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Parole di inequivocabile attualità cui ancora oggi deve conformarsi il patto costitutivo del nostro modo di essere nazione e di realizzare e garantire la convivenza.
Qui sono sintetizzate uguaglianza e libertà, espresse pienamente come principi di affermazione e sviluppo della persona e della società. Ma uguaglianza e libertà, allora, erano traguardi ancora da raggiungere diffusamente; oggi che invece sembrano scontati, paradossalmente sono da riaffermare, se non di rado da riconquistare: guardiamo al deficit di uguaglianza che impoverisce il Paese, riflettiamo sugli orizzonti di libertà che, sotto ogni profilo, rimangono sfumati.
Uguaglianza e libertà nei diritti che in questa fase istituzionale e storica, rischiano di essere minate, nello spirito della loro equa e giusta distribuzione territoriale, dai continui tentativi di svilire profondamente il carattere di unicità e indivisibilità della Repubblica scelta nel 1946.
Quel messaggio di speranza oggi va rivolto soprattutto ai nostri giovani, nella scuola e per la scuola. La scuola della nostra Repubblica. Un ambito di riferimento, in questo senso, che va assolutamente privilegiato. Piero Calamandrei, uno dei padri più nobili della Costituzione, la definiva come un «un organo costituzionale», tanto da essere indispensabile per realizzare una società compiutamente democratica. I governanti, gli insegnanti, le famiglie, gli studenti non devono dimenticare questo e perciò si faccia sì che la scuola diventi la prima palestra, motore inesauribile della nostra democrazia.
Oggi cingo la fascia tricolore non per onorare una mera ricorrenza ma perché la forma con la quale intendiamo solennizzare questa giornata esprime la sostanza di un Paese che, seppure in un momento di particolare difficoltà, è ricco di speranza, pieno di favorevoli complessità, colmo di diversità che, quando composte in armonia, sanno rappresentare una unicità. E allora, analogamente, invito tutti non a celebrare un rito, oggi, ma a concentrarsi sulla sostanza che si esprime con la stessa parola degli elettori del ‘46: ricostruzione.
All’epoca bisognava rinascere dalla guerra, oggi dobbiamo risollevarci da una calamità naturale. Allora prevalse e si affermò lo spirito nazionale di condivisione, oggi dobbiamo fare appello allo spirito che è essenza di una nazione: la solidarietà. Se un Paese è tale, nel segno dell’unita e del comune progredire, e se questo è massimamente espresso nelle rappresentanze istituzionali – in tutti i suoi elementi costitutivi, dal Parlamento alle rappresentanze locali – ad esse va rivolto l’appello a stare con noi, a non lasciarci al nostro difficile destino, ma a condividerlo, a creare opportunità legislative, economiche, culturali e sociali perché si torni a camminare tutti insieme, con lo stesso reciproco e fecondo passo.
Oggi più che mai. Oggi perché ci sia un domani di speranza per i nostri territori colpiti, per la nostra gente ferita.
Certamente le condizioni dell’Italia di 73 anni fa, erano di una gravità nemmeno lontanamente paragonabile ai problemi di oggi. Pur tuttavia alla base del percorso di uscita da quella crisi ci fu una grande speranza nel futuro; a nome di tutti i miei concittadini, ed in particolare di coloro che ancora pagano le conseguenze del sisma la cui dignità non può più essere calpestata, io chiedo di non cancellare la nostra speranza. Di quella stessa speranza che ci ha consegnato il popolo della Repubblica e che oggi anche noi istituzioni siamo chiamati a non tradire.
Coesione, unità di popolo, solidarietà: tre concetti che sono come un lampo che illumina anche il nostro presente e che ci viene da quel 2 giugno del 1946.
In questo senso faccio a tutti e soprattutto agli ultimi, a chi soffre e spera, ora come allora, in un futuro diverso e più giusto l’augurio di un buon 2 giugno.
Viva l’Italia! Viva la Repubblica! Viva la nostra Costituzione.

Il Sindaco di
Gianguido D’Alberto

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